mercoledì 10 dicembre 2008

Ho fame della tua bocca

Ho fame della tua bocca, della tua voce, dei tuoi capelli

e vado per le strade senza nutrirmi, silenzioso,
non mi sostiene il pane, l’alba mi sconvolge,
cerco il suono liquido dei tuoi piedi nel giorno.

Sono affamato del tuo riso che scorre,
delle tue mani color di furioso granaio,
ho fame della pallida pietra delle tue unghie,
voglio mangiare la tua pelle come mandorla intatta.

Voglio mangiare il fulmine bruciato nella tua bellezza,
il naso sovrano dell’aitante volto,
voglio mangiare l’ombra fugace delle tue ciglia 
e affamato vado e vengo annusando il crepuscolo,
cercandoti, cercando il tuo cuore caldo
come un puma nella solitudine di Quitratúe.

Pablo Neruda


Neruda mi ha catturato da subito. Senza chiedere nulla mi ha catturato, sgomitando tra mie passioni. Ho fatto il suo incontro un bel pò di tempo fa, e forse allora lui mi conosceva meglio di me.

Solo da poco ho scoperto il perchè di tanta attrazione. Le parole di Neruda sono semplici, non celano secondi fini, nè chissà quali alchimie verbali. Ecco cos'era. Il modo in cui amava. Amava amare, ed era un terribile esteta. Nutriva un sentimento di carne per le comuni mortali, che diventavano angeli sotto le sue parole cangianti. E lui guardava, guardava con gli occhi e piangeva di gioia, come l'artista fa con il suo capolavoro.

Pablo è morto d'amore, in un esplosione di sensi che alcuni sognano. E questo mi legava a lui. L'incapacità di sopportare così tanto amore, così tanta bellezza.

Come lei che mi guarda, che non c'è più e ancora mi guarda.

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